A cura di Andrea Manica

“Impara le regole come un professionista affinché tu possa infrangerle come un artista.” Questo aforisma di Picasso si adatta perfettamente a Eleonora Beddini, musicista e compositrice la cui anima è profondamente legata alla contaminazione tra le arti. Con il medesimo impegno e passione, ha sviluppato progetti nel campo del teatro, del cinema e delle videoinstallazioni.

Eleonora, partiamo proprio da Bologna. Che ruolo ha avuto questa città nella tua formazione?

Quando sono arrivata a Bologna per studiare al conservatorio, per me è stato come andare a New York: un grande melting pot culturale. Provenivo dalla provincia e questa città rappresentava un punto di arrivo, un luogo dove avrei potuto formarmi e imparare tantissimo. La vedevo come una fucina di idee, un luogo di scambio e di incontro tra persone, un posto in cui la musica, il teatro, il cinema e la letteratura si mescolavano. Stavo ore e ore a incontrare persone nei luoghi di cultura, come per esempio la Cineteca, lasciandomi affascinare da loro. Bologna mi ha adottato e, pur spostandomi molto per lavoro, non l’ho mai più realmente lasciata.

Ora siamo alle prese con una nuova avventura in città, con l’imminente Rassegna Nazionale delle Nuove Poetiche dAutore “Le Targhe di Officina”. Cosa ti colpisce di questa iniziativa?

Officina Roversi ha una missione che sento molto vicina, quella di intrecciare le discipline, di affiancarle e renderle trasparenti l’una con l’altra. È un concetto fondamentale per me, perché le discipline dialogano e si contaminano a vicenda. Sento un legame profondo con questa iniziativa proprio perché celebra l’interconnessione tra le arti, un concetto che ho sempre portato avanti nel mio lavoro.

Credi che l’ispirazione possa arrivare anche da mondi apparentemente lontani dalla musica?

Certamente. È importante conoscere le discipline che ci sono vicine perché ci contaminano e ci nutrono. Ti faccio un esempio: per un cantautore è fondamentale conoscere Francesco Guccini, ma è altrettanto importante conoscere Leo de Berardinis, o Giorgio Morandi – per parlare di un pittore bolognese – o Andrea Pazienza. Dobbiamo uscire dal nostro campo visivo, perché possiamo essere ispirati non solo da questi artisti, ma in generale dalla vita, soprattutto da ciò che non è strettamente musica o poesia.

Sarebbe bello che i giovani artisti fossero aperti a queste contaminazioni. Sembra che le logiche commerciali appiattiscano sempre di più la scena musicale. Cosa dovrebbe fare un artista per distinguersi?

A me piace l’idea che la composizione si viva in modo alto e che la scrittura somigli sempre di più alla persona che la genera. Mi interessa che ci sia coerenza tra l’artista e il prodotto che crea. L’importante è conoscere la letteratura del passato, farne tesoro e non fermarsi alla superficie delle cose. Altrimenti, si rischia di scambiare per rivoluzionarie cose che sono state trasformate nel tempo, solo perché non si ha la conoscenza di ciò che è avvenuto prima.

Inoltre,  spero che le donne si facciano sentire! Quando ho iniziato a insegnare al conservatorio, mi ha sconvolto la totale assenza di figure femminili nelle mie materie, come l’arrangiamento. Non c’è una minoranza, c’è un’assenza. È fondamentale che riusciamo a valorizzare la presenza femminile in tutte le arti.