A cura di Andrea Manica

Enzo Pellegrino, professore di grande esperienza, ha intessuto un dialogo profondo con la città di Bologna, nutrendo la passione per la filosofia, la scrittura e l’arte di tanti giovani e creando un vero e proprio ponte tra generazioni. Un fulgido esempio di questa vocazione alla formazione sono i laboratori di scrittura creativa che Pellegrino ha tenuto nei licei e che negli anni hanno avvicinato centinaia di ragazzi alla letteratura.

Professor Pellegrino, perché Bologna è così importante per i giovani?

La sua qualità maggiore è sempre stata l’accoglienza. Anche oggi che Bologna è surclassata dal turismo di massa, la possibilità per i ragazzi di ritrovarsi in una dimensione conviviale anche in senso creativo è fondamentale. Una città come questa è una realtà viva, nel senso che i giovani possono ancora trovare stimoli per la cultura, la creatività e la musica. Il problema centrale di tutte le città del domani sarà l’accoglienza, la possibilità per i ragazzi di ritrovarsi a casa.

Quello che oggi è mancante è un rapporto tra i giovani e i maestri capaci di trasmettere una conoscenza limpida e pulita. Condivide questa idea?

Certo, la condivido. E’ l’aspetto che più mi impressiona perché questa città di maestri ne ha avuti tanti!  E, tra questi, Roversi è stato… direi è un’assoluta eccellenza. Per il mio laboratorio di scrittura creativa, che ho diretto per una ventina d’anni, Roberto è stata una figura di riferimento. L’incontro tra Roversi e gli studenti è stato molto empatico, molto sentito. Più che parlare, Roberto, lasciava parlare i ragazzi. Poi ci mostrava il ciclostile, ci raccontava di Pasolini e dell’arte. Diceva che la creatività deve essere disinteressata e non legata all’idea di successo, un’esigenza autentica insomma.

Anche io mi sono “arricchito” umanamente e culturalmente con la frequentazione di grandi maestri come, fra gli altri, il prof Antonio Faeti, fondatore della prima cattedra nel mondo di letteratura per l’infanzia.

 Antonio ha dato un grande contributo all’attività del laboratorio narrandoci le sue “antiche fiabe” più che mai attuali e ha scritto le prefazioni ai libri dei ragazzi pubblicati da Pendragon.

Negli ultimi tempi ho l’impressione – forse per il dilagare dei social e/o per le “passioni tristi” che viviamo – che il bisogno di confronto con  i grandi maestri si sia affievolito. E la crisi politica e sociale, che rende minaccioso il futuro, è sale che brucia sulle ferite. Perciò ritengo necessaria e meritevole l’azione dell’Officina Roversi: l’arte, nelle sue varie forme, per la sua immediatezza, arriva dove le analisi socio-politiche falliscono.

Nella sua esperienza di insegnante il rapporto con i ragazzi è stato molto profondo e gratificante. Quali stimoli ha ricevuto da loro?

Tantissimi e inesprimibili, costruendo rapporti che durano nel tempo. Un esempio è il mio ultimo libro, uscito l’anno scorso per Pendragon, che si intitola “Dove abita il tempo: passeggiare tra fisica e filosofia”. È un racconto nato dalla collaborazione con un mio ex alunno, Luca Visinelli, oggi fisico all’Università di Shanghai. È un testo dove non c’è separazione tra filosofia e fisica, e dove un bambino fa domande impertinenti sulla natura del tempo con il repertorio del suo mondo fiabesco.